
La sveglia suona alle 7. Come ogni anno, mentre apro gli occhi, il mio corrispettivo dell’armadillo di Zerocalcare, nella fattispecie un segnalibro con la coda di rondine, è accanto a me per sussurrarmi, come se ce ne fosse bisogno, “ma chi te lo fa fa’?”. Come ogni anno, mi ripeto che è l’ultimo, però mi tiro comunque su a sedere sul letto e a pensare che, come ogni anno, in un mondo che mi piace sempre meno, l’unica cosa in grado di salvarmi è il Cinema. E così, come ogni anno, dissipo i dubbi e vedo pure Re Theoden che mi guarda dall’altra parte della stanza, dicendomi la sua iconica frase: “So it begins”. Ho bisogno di un caffè.
Circa un’ora dopo Bobby Jean, ovvero la mia Panda rossa, “sfreccia” attraverso Roma, accarezza lo splendore di un Circo Massimo baciato dal sole del mattino, cavalca su Lungotevere, diretta caparbia verso l’Auditorium. Appena arrivo nella storica sede della Festa del Cinema di Roma incontro Paolo, un vecchio collega dell’università che vedo sempre e soltanto a ottobre, in questa occasione, e non sono sorpreso di imbattermi in lui, come ogni anno, proprio nel momento esatto in cui metto piede su Viale de Coubertin. Viaggiamo su due direzioni opposte, così mi domanda ironicamente: “Già vai via?”. In realtà sto camminando verso l’uscita perché la mia proiezione d’apertura oggi è il documentario Lynch/OZ, che è proiettato al Museo MAXXI, a poche centinaia di metri dall’Auditorium. Il film di Alexandre O. Philippe, che già qualche anno fa aveva strappato applausi alla Festa del Cinema con un altro splendido documentario, “People vs George Lucas” (imperdibile, se riuscite a trovarlo!), attraverso una struttura in capitoli/saggi, ognuno a sottolineare una grande tematica, spiega l’influenza de “Il Mago di Oz” su gran parte del cinema americano e soprattutto sull’opera di un regista immenso come David Lynch. Niente di nuovo, per carità, chi ama Lynch conosce perfettamente i tanti riferimenti dei suoi film al capolavoro di Victor Fleming, tuttavia il racconto è così interessante e ben realizzato che è impossibile non restare incollati alle immagini (che bello poi vedere spezzoni di così tanti grandi film su grande schermo). In poche parole, dopo quasi due ore cominci a capire come tutta la tua vita sia in realtà una citazione de “Il Mago di Oz”, o di un film di Lynch. “There is no place like home”, insomma.
Alle 11 resto al MAXXI per un altro documentario (oggi va così, ho evitato i film più commerciali per puntare a qualcosa un po’ più di nicchia), All That Breathes di Shaunak Sen, vincitore del Grand Prix al Sundance di gennaio scorso, nella categoria documentari. In India c’è questa credenza per cui lanciare carne ai nibbi permette a questi rapaci di nutrirsi anche dei tuoi problemi (ora che lo so, farò ricco il mio macellaio di fiducia). Due fratelli vedono però questi uccelli cadere a decine dal cielo a causa dell’inquinamento di Nuova Delhi e decidono di prendersi cura di essi come missione della vita. La loro storia finisce anche sul New York Times e permette loro di dare risonanza alla causa dei nibbi. Il documentario, nonostante il dolore che lo pervade (degli uccelli, certo, ma anche degli esseri umani spaventati da rivolte e disordini a pochi chilometri dalla loro porta di casa), è circondato da un’aurea a tratti malinconica, ma sicuramente piena di pace, di quiete. Nonostante la tempesta metaforica che circonda questo piccolo ospedale per rapaci, il modo in cui i due fratelli si prendono cura di questi uccelli ti mette davvero in pace con te stesso.
Sono le 13 e le proiezioni del mattino sono andate. Ora devo soltanto aspettare le 19, quindi riempire 6 ore, in attesa del terzo e ultimo film che vedrò oggi, Coupez! di Michel Hazanavicius, che in Italia dovrebbe uscire con il titolo “Cut! Zombi contro Zombi”. Il pomeriggio è lungo, ma tra un pezzo di pizza e una birra con i miei compagni di viaggio Giordano e Sergio, la giornata vola e colgo anche l’occasione di avere un po’ di tempo per seguire il red carpet di James Ivory, che oggi incontrava il pubblico, oltre a quello del film (e farmi una foto insieme a Berenice Bejo, meravigliosa). Il film è totalmente geniale: non ridevo così tanto da molto tempo. Il primo atto della storia mostra il film nel film, la storia di una troupe che mentre gira un zombi-movie, si ritrova attaccata da veri zombi. Ci sono cose che non tornano, tuttavia: la qualità è pessima, i dialoghi bruttissimi, la messa in scena amatoriale e gli attori scarsi, oltre al fatto che, pur essendo francesi (Romain Duris e Berenice Bejo sono le punte di diamante) i loro personaggi hanno tutti nomi giapponesi. C’è chiaramente qualcosa che non va e infatti il resto del film fa un passo indietro per spiegarci la produzione e poi il “backstage” di quello che abbiamo appena visto. Se la fase centrale è divertente ma ancora piuttosto ordinaria, il film si scatena letteralmente nell’ultima mezzora, dove non si può smettere di ridere neanche per un istante: è qualcosa di travolgente, esilarante, formidabile, ogni nodo viene al pettine e ti permette di comprendere pienamente il motivo di tante incongruenze, di tanti dialoghi, di tante assurde soluzioni narrative alle quali abbiamo assistito durante la prima parte. Uno di quei film che, appena escono in sala, bisogna fiondarsi di corsa per andarli a vedere e per concedersi due ore di grasse risate. Tra le altre cose “Coupez!” aveva aperto il Festival di Cannes pochi mesi fa, un biglietto da visita piuttosto discreto.
A fine proiezione gli applausi per Hazanavicius e sua moglie Berenice Bejo ci fanno spellare le mani, si aggiunge alla cricca degli spettatori esaltati anche Valerio Mastandrea, che sbuca dal suo seggiolino per andare ad abbracciare il regista e la interprete. Ne approfitto per avvicinarmi ancora una volta all’attrice francese e le faccio i miei complimenti più sinceri: il suo sorriso e il “merci” ottenuto come risposta è già nel montaggio dei miei personali highlights di questa edizione della Festa. Mentre esco dall’Auditorium incontro nuovamente Paolo, replicando quasi esattamente la scena di 12 ore prima, quando al posto del buio c’era la luce del sole. Ma è quando non riesci più a distinguere il giorno dalla notte che capisci che sei tornato alla Festa del Cinema, anche quest’anno, come ogni anno.

Ho partecipato a troppi pochi festival del cinema in vita mia, ma ho ancora il ricordo indelebile del FEFF di Udine, quando per 4 giorni il tempo ha smesso di scorrere come nel resto del mondo e alla sera mi ritrovato confusa tra i film visti il giorno prima o appena pochi minuti prima e non riuscivo più a raccapezzarmi tra pranzo, cena e colazione. Un’esperienza che ogni amante della settima arte dovrebbe provare almeno una volta nella vita!
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È proprio così, confermo tutto! 🙂
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