
Ed eccoci a ottobre, il mese più bello dell’anno per una lunga serie di motivi (l’autunno, le ottobrate romane, la Festa del Cinema di Roma, il mio compleanno e un’altra decina di cose del genere). Tuttavia c’è bisogno di mettere un po’ di ordine nelle visioni settembrine, caratterizzate dalla bellissima iniziativa Cinema in Festa (biglietti a 3,50 in tutta Italia), dalla rassegna Venezia a Roma, dal ritorno delle mie amatissime proiezioni stampa, oltre che dalle immancabili visioni casalinghe di film vecchi e nuovi. Un paio di settimane fa sono andato al cinema dal lunedì al venerdì e questa cosa è stata davvero una goduria.
Margini (2022): Premio del pubblico alla Settimana Internazionale della Critica durante l’ultimo Festival di Venezia, il film d’esordio di Niccolò Falsetti, prodotto tra gli altri dai Manetti Bros, è divertente, scanzonato, ti costringe a fare i conti con il peso dei tuoi sogni ma sa farlo con leggerezza e vitalità. Siamo a Grosseto, una ventina d’anni fa: tre ragazzi che suonano in una band punk locale, stanchi di doversi sempre spostare ovunque per suonare e per sentire le band che amano, decidono di organizzare il concerto di un celebre gruppo statunitense là da loro, con tutti gli oneri del caso: trovare una location, trovare l’attrezzatura e soprattutto trovare i soldi. Il cinema può anche essere una cosa semplice, basta avere belle idee. Una bella sorpresa, da vedere.
Nido di vipere (2020): Film coreano diretto da Kim Yong-Hoon. Tipico racconto corale incentrato su un borsone pieno di soldi e su diversi personaggi che cercano di metterci le mani sopra. Sarebbe anche carino se non sembrasse la copia, meno divertente, di un film crime di Guy Ritchie. Gli piacerebbe, per lo meno. Nota a margine: non è colpa del film, ma il doppiaggio mi ha rovinato totalmente la visione, soprattutto la voce che doppia il protagonista (impressionante la somiglianza con quella di Roberto Chevalier, a cui avevo inizialmente attribuito, sbagliandomi, la paternità del doppiaggio), che è totalmente sopra le righe e, con tutto il rispetto per il professionista che ci ha lavorato, ho trovato irritante da morire. Purtroppo non c’erano sale che lo proiettavano in lingua originale e questa cosa ha pesantemente influenzato il mio giudizio (almeno però sono andato per la prima volta in un cinema in cui non ero mai stato, l’Eurcine!).
Broker (2022): Se un gruppo di persone diventa famiglia al di là del legame di sangue e se a questa famiglia improvvisata ti affezioni, allora stai guardando il solito bellissimo film di Kore’eda. “Broker”, primo film in lingua coreana del regista giapponese, è questo e molto più, oltre alla Palma d’Oro a Cannes per il miglior attore, Song Kang-ho (il padre di “Parasite”, se il nome non dovesse dirvi niente). Due uomini girano il Paese per vendere neonati abbandonati dalle madri a coppie che non possono avere figli, ai due si aggiunge una neo-madre interessata più ai soldi che al bebè e, in seguito, un altro fantastico orfanello. Il loro viaggio ovviamente li unirà molto più di quel che si possa pensare. Emozionante.
La Notte del 12 (2022): Che bello tornare nella mitica Sala Anica di viale Regina Margherita per una proiezione stampa, era da tanto che non succedeva e ho scoperto che mi mancava. L’incipit recita così: “Ogni anno, la polizia giudiziaria apre 800 indagini per omicidio. Alcune non vengono mai risolte. Questo film parla di una di queste”. Un detective si muove su un caso di omicidio, tra mille sospetti e nessun colpevole. Dominik Moll, il regista, non lascia spazio né allo spettacolo né all’azione, ma alla frustrazione, al lato psicologico della vicenda, facendoci percepire lontani echi di Laura Palmer (e della sua Twin Peaks), ma vagamente anche di “Zodiac” o “Memorie di un assassino” (però alla francese). Molto bello, anche se inevitabilmente farai tuo quel senso di frustrazione che sta incollato addosso al protagonista.
The Whale (2022): Appare subito evidente che l’ultimo film di Aronofsky sarà un film che dividerà moltissimo il pubblico, non potrebbe essere altrimenti davanti a qualcosa di così forte, talvolta violento psicologicamente (mai quanto “Madre!” tuttavia), ma al tempo stesso ricco di contenuti. A me, lo dico subito a scanso di equivoci, sono bastati pochi minuti per conquistarmi. Brendan Fraser è un insegnante che tiene corsi di scrittura creativa online e che non esce mai dal suo appartamento a causa della sua invalidante obesità. Ed è proprio dal salotto di casa, centro del suo mondo, che deve riallacciare i rapporti con la figlia, un’ adolescente da incubo (che brava che è Sadie Sink, la Max di “Stranger Things”!). Gli occhi di Brendan Fraser recitano quasi da soli: i guizzi di tenerezza, l’ironia, la pazienza di chi non ha quasi più nulla da aspettarsi dalla vita, la passione per il suo lavoro, per la poesia, per la scrittura (dei suoi studenti, ma soprattutto di sua figlia). Il suo è uno di quei personaggi che restano attaccati alle viscere e sarei molto sorpreso se non trovassi il suo nome nella prossima cinquina degli Oscar. In Italia dovrebbe uscire a dicembre (io l’ho visto durante la rassegna “Venezia a Roma”).
Happy Together (1997): Mi mancavano solo due titoli della filmografia di Wong Kar-wai, “Ashes of Time” e questo. Grazie a Mubi ho potuto vedere anche l’ennesima perla della filmografia del regista cinese, ambientato quasi interamente a Buenos Aires, dove si è trasferita una coppia di ragazzi gay in cerca di futuro. Uno ha la testa sulle spalle e cerca costantemente di vivere una vita tranquilla, normale, l’altro è superficiale, istintivo, autodistruttivo: la loro relazione durerà ben poco. I loro destini tuttavia si incrociano diverse volte durante l’arco del film, fino al solito bellissimo finale dei film di Wong. Inevitabile anche in questo film la versione cinese di un successo pop occidentale: così come in “Hong Kong Express” c’era una cover in cinese di “Dreams” dei Cranberries, qui c’è “Happy Together” dei Turtles. La straordinaria fotografia, che salta dal bianco e nero (quant’è bella San Telmo, meraviglioso quartiere di Buenos Aires, in b/n?) ai colori, è firmata dal solito genio di Christopher Doyle, storico collaboratore di Wong Kar-wai.
Blonde (2022): Il film del momento. Innanzitutto partiamo da due certezze: Andrew Dominik, già strepitoso regista di film come “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford” e del sottovalutato “Cogan”, certifica ancora una volta il livello altissimo della sua regia, non soltanto riportando in vita celebri scene della carriera di Marilyn Monroe (divenute in seguito fotografie iconiche, soprattutto quelle di Douglas Kirkland, scomparso proprio poche ore fa), ma anche regalando al suo film delle sequenze stupende e mai banali. L’altra certezza è Ana De Armas, che non solo riesce ad essere incredibilmente somigliante alla Monroe, ma riesce anche a riportare in vita la diva con la voce, le doti fisiche ma, soprattutto, l’immensa fragilità. Il film si concentra sul rapporto tra Norma Jean (vero nome dell’attrice) e il “personaggio” che ha dovuto recitare per tutta la vita, Marilyn Monroe appunto, nata come ragazza pin-up e morta come una delle più grandi icone del Novecento. Ci sono alcune cose che non mi sono piaciute, ma il film nel suo complesso (e nella sua complessità) è bello, girato benissimo, interpretato alla grande e queste sono sempre cose che mi fanno dire: “meno male che l’ho visto”.
SERIE TV: Come sempre c’è tanta carne al fuoco e poca voglia di impegnarmi in un nuovo viaggio seriale (devo ancora riprendere con “I Soprano”, quindi direi che già questo dovrebbe bastare). Tuttavia, spinto dalla curiosità, ho visto tre episodi di Dahmer, serie Netflix incentrata sul celebre nonché omonimo assassino seriale. Il pilota è davvero molto bello, poi la storia nei due episodi successivi si dilunga un po’ troppo nei flashback e nel background dell’uomo. Per ora mi sembra interessante anche se mi sta dando l’impressione di trattarsi dell’ennesima serie che sarebbe potuta tranquillamente essere un buonissimo film (cosa che davvero vale per il 70-80% delle serie tv ed è anche uno dei maggiori motivi per cui scelgo di non vederle), ma che invece è stata dilungata e allungata pur di trasformarla in un prodotto seriale. In rampa di lancio ho pronti anche i primi episodi di Andor, serie che mi incuriosisce da morire, anche se come tutti sono arcistufo di questi miliardi di spin-off di “Star Wars”.

Occhio che in nido di vipere non c è Chavalier. E poi non è vero che è doppiato male. Comunque i film coreani e orientali in generale sono difficili perche battono pochissimo e quindi diventa difficile coi labiali (idem per Squid game e minari)
Grazie
Lele
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Grazie per la correzione, la somiglianza con la voce di Chevalier è impressionante, ho commesso un errore evitabile. Però confermo che il doppiaggio non mi è piaciuto, probabilmente non per colpa dei doppiatori, come mi hai spiegato. Grazie per il tuo contributo, un saluto!
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