
Sabato 15 ottobre. Anche oggi la sveglia suona alle 7. Aprendo gli occhi sono colto da una rivelazione mistica alla Fantozzi: mi compare davanti un angelo per dirmi che nella vita ho scelto di fare il lavoro che faccio (cioè il fotografo) solo perché era qualcosa che potevo fare senza dovermi alzare così presto la mattina. Se per Jim Hopper le mattine sono fatte di “coffee and contemplation”, il mio sabato mattina è fatto di “caffè-plumcake-yogurt-doccia-docazzostannolechiavi”, il tutto nel giro di neanche 40 minuti, visto che il film di oggi, che aspetto molto, sarà proiettato alle 8.30. Mezzora prima del solito. Mezzora che, ad uno come me, fa tutta la differenza del mondo. Siccome però non mi alzo per andare in miniera, abbozzo, mi ripeto che non mi devo lamentare e salgo in macchina, pronto per una giornata che mi metterà di fronte al nuovo film di Stephen Frears e ad una masterclass di Russell Crowe.
The Lost King è la storia vera di una persona che, senza che nessuno le desse una lira di fiducia, riesce a dare lustro e importanza alla città di Leicester. No, non è un biopic su Claudio Ranieri, bensì il racconto – piuttosto incredibile – di Philippa Langley, donna scozzese che, dopo essere rimasta folgorata da una rappresentazione teatrale del Riccardo III di Shakespeare, comincia a raccogliere informazioni sul re, che la Corona (oltre al grande Bardo) ha sempre raccontato come usurpatore e infanticida. La storia però a volte la racconta chi vince e, talvolta, chi vince racconta bugie. Philippa (bravissima Sally Hawkins), ormai divenuta una storica dilettante, si appassiona alla storia di Re Richard e si lancia alla ricerca dei suoi resti, scomparsi da oltre cinque secoli. Stephen Frears sa raccontare storie, questo è certo, e quel che racconta non è mai banale. Il film è godibile, non ti stanca mai, nonostante ciò la storia è sicuramente più interessante rispetto al modo in cui il film ce la apparecchia: ad esempio la visione di Riccardo III che si palesa agli occhi della protagonista è il goffo tentativo di deviare il racconto verso qualcosa che non è, e i punti di forza del film – le indagini e le ricerche di Philippa – sono appena accennati (c’è praticamente solo una scena in cui vengono sovrapposte due mappe per teorizzare il punto in cui è sepolto il corpo e la cosa porta a domandarsi se è possibile che davvero nessuno ci avesse mai pensato prima). Ad ogni modo, al netto di alcuni difetti che da Frears neanche ti aspetti, è un film bello, un inno alla determinazione, a credere nelle proprie convinzioni, anche quando il mondo ti va contro. Onestamente però, lo devo ammettere: il potenziale della storia meritava un film un po’ migliore.
Uscito dalla Sala Petrassi comincio a fare calcoli di ogni tipo e genere per capire come arrivare all’Auditorium Conciliazione alle 16: come John Nash in “A Beautiful Mind” (e la citazione non è casuale) mi perdo in numeri, algoritmi, equazioni e quant’altro, per poi rendermi conto che sto leggendo su Google Maps i numeri degli autobus che dovrei sperare di prendere per raggiungere la sala dove tra circa 5 ore si terrà la masterclass di Russell Crowe. Colto da improvvisa ispirazione, decido di tornare a casa a mangiare e di lasciare l’auto a Garbatella, per raggiungere più tardi Via della Conciliazione con un viaggio in metro e uno in autobus. Nonostante la tentazione di guardarmi Cittadella-SPAL per inaugurare la prima partita da allenatore di Daniele De Rossi, riesco ad uscire di casa e, in qualche modo, trovarmi all’Auditorium di scorta all’orario esatto in cui dovevo esserci. Proprio quando metto piede in direzione dell’ingresso della sala ecco la folla che urla, applaude e acclama: l’entusiasmo però non è per me, bensì per Russell Crowe, che è arrivato sul Red Carpet esattamente nel momento in cui mi stavo avvicinando anche io. Sin dall’inizio l’incontro con l’attore premio Oscar deraglia verso ciò che lui vuole fare e lo mette immediatamente in chiaro: “Loro (i moderatori nonché padroni di casa) vogliono farvi vedere clip di film che avete già visto 1000 volte, ma oggi le cose non andranno come vogliono loro”. Detto ciò, Crowe scende dal palco e cammina per quasi due ore in mezzo al pubblico, chiede agli studenti di cinema di fargli domande e risponde a tutti con onestà, entusiasmo e forse con un pizzico di teatralità (ma se non lo fa lui, chi dovrebbe farlo). Fa capire come non bisogna spaventarsi davanti alle insicurezze usando come dimostrazione un aneddoto di quando Joaquin Phoenix voleva mollare il set de “Il Gladiatore”, intrattiene il pubblico con storie di cinema e sottolineando l’importanza delle passioni (soprattutto quelle che non ti fanno pagare le bollette). Infine fa venire giù la sala quando, con un perfetto romano, urla un gigantesco “Sti cazzi!”, dopo che la povera (e bravissima) interprete si stava dilungando troppo nella traduzione (secondo lui almeno). Un pomeriggio diverso, pieno di amore per il cinema, pieno di tutto ciò che Russell Crowe ha voluto metterci dentro, pieno delle speranze che i giovani studenti hanno dimostrato di portare dentro.
Finito l’incontro, ho il tempo di realizzare un paio di ritratti per il mio progetto fotografico legato al cinema, ovvero Film People, che spero di rimpolpare sensibilmente nei prossimi giorni di Festa. Domani passerò a salutare Stephen Frears, ma non mi soffermerò oltre perché intendo godermi il mio compleanno nella vita reale e non in quella che vi ho abituato a conoscere, la mia vita da cinefilo. Lunedì però tornerà l’appuntamento con il diario dall’Auditorium e soprattutto con due film nuovi fiammanti di cui parlare. Buona domenica!

A beautiful mind è un film magnifico. Una delle sue attrici (Jennifer Connelly) ha spaccato anche in Fire Squad – Incubo di fuoco: l’hai visto?
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Sono sicura che dal vivo Russell Crowe sia un vero mattatore, nonostante la sua ultima prova che ho visto (Love and Thunder, non che fosse tutta colpa sua naturalmente!) mi abbia lasciato molto imbarazzata non si può proprio negare il suo grande carisma.
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Sì, un gran personaggio. Ma non tutti i suoi film mi sono piaciuti, concordo, alcuni sono davvero inguardabili (mi viene in mente “Noah”)
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