Capitolo 341

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Come passa il tempo quando ci si diverte eh? Neanche il tempo di toglierci di dosso magliette a maniche corte e camicie estive ed ecco che novembre sta già volando via, con il cambio dell’ora, le giornate corte, il buio, un po’ di freddino e soprattutto tanta pioggia, arrivata giustappunto nel weekend per non farci dimenticare mai le sagge parole di C-3PO: “Siamo nati per soffrire, è il nostro destino nella vita”. Per fortuna, in mezzo a bollette e varie rotture di palle, c’è sempre il cinema, porto sicuro e rifugio accogliente, unico modo per viaggiare in luoghi che non vedremo mai o per vivere esistenze che non saranno mai le nostre. E c’è pure chi dice che l’arte non serve a niente, figuriamoci.

Come un padre (2022): Su Prime Video è uscito questo tenero documentario di Alessio Di Cosimo dedicato ad una delle figure più rappresentative di un calcio che oggi probabilmente non esiste più, almeno non in Serie A: parlo ovviamente di Carletto Mazzone, ex allenatore, passato alla storia più per il celeberrimo episodio della corsa sotto la curva dei bergamaschi durante Brescia-Atalanta che per i suoi (tanti) successi sportivi, per cui invece meriterebbe una statua (anche solo per aver regalato al calcio e ai suoi amanti qualche anno in più di carriera a Roberto Baggio). Il documentario, seppur troppo televisivo, ripercorre la storia calcistica di Mazzone, dall’esordio da calciatore con la Roma fino alla fine della sua carriera da allenatore, attraverso le testimonianze e gli aneddoti raccontati da alcuni dei suoi giocatori chiave, come Francesco Totti, Andrea Pirlo, Giuseppe Giannini, Roberto Baggio, Pep Guardiola e anche Fabio Petruzzi, Massimiliano Cappioli, Roberto Muzzi, i gemelli Filippini e tanti altri. Un bel viaggio soprattutto per chi ha vissuto quel calcio, un tuffo nostalgico nella nostra adolescenza (quanto ho amato Giannini e Cappioli voi non lo potete capire).

Ennio (2021): Altro giro, altro documentario, questo sì magnifico, ben fatto, stupendo. Giuseppe Tornatore ha chiesto a Ennio Morricone di raccontarsi, di raccontare la sua carriera dagli esordi, passando per i successi della musica italiana fino alle mitologiche colonne sonore dei film. A parte il fatto che vedere Morricone canticchiare alcune delle sue meravigliose soundtrack vale da solo la visione del film, è appassionante capire l’impatto che questo compositore ha avuto non solo nella storia della musica da film, ma anche nella storia della musica italiana tout court: è stato pazzesco scoprire in questo film che alcune storiche hit come “Abbronzatissima”, “Il Mondo”, “Se telefonando” e mille altre canzoni famosissime sono nate tutte dal genio di Ennio Morricone. La collaborazione con Sergio Leone è un altro momento ovviamente toccante. Documentario bellissimo.

La doppia vita di Veronica (1991): Qualche settimana fa, mentre facevo un ritratto per il progetto fotografico Film People, di cui immagino ormai sappiate già tutto, una ragazza turca mi ha nominato come film della vita questo di Krzysztof Kieślowski, che sinceramente non avevo mai sentito. Incuriosito dalle parole che questa ragazza ha usato per motivare la sua scelta, sono andato a cercarmi il film, la storia di una cantante polacca che un giorno, improvvisamente, vede per caso una turista francese identica in tutto e per tutto a lei. Il film non è facilissimo, è misterioso, balla tra realtà ed enigma, e tende a lavorare più sulle sensazioni di chi guarda piuttosto che sulla razionalità. Visivamente è splendido (che colori la fotografia di Slawomir Idziak!) e Irene Jacobs, migliore attrice a Cannes, è una sorpresa. Film probabilmente più affascinante che bello, però sa tenerti attaccato alle protagoniste fino alla fine.

Io e Annie (1977): Capolavoro di Woody Allen e probabilmente uno dei film che ho visto di più in vita mia. Sarebbe riduttivo dire che è la storia dell’incontro, e delle reciproche nevrosi, tra un comico newyorkese e un’aspirante cantante e sarebbe riduttivo anche definirlo una commedia romantica. Probabilmente è riduttivo anche chiamarlo capolavoro, perché “Annie Hall” è senza dubbio l’apice massimo, insieme a “Manhattan”, del genio di Allen e della sua anedonia, ovvero l’incapacità di vivere il piacere (tra l’altro proprio “Anhedonia” era il titolo di lavorazione originale). Uno di quei film che mi hanno sempre fatto sentire a casa, che vedo quando ho bisogno di calore, di sentirmi innamorato di una storia, con uno dei finali che più amo in assoluto. Passano gli anni, ma continuiamo tutti ad aver “bisogno di uova”.

Bones and All (2022): Ho parlato in maniera più approfondita del nuovo film di Luca Guadagnino nella recensione e come ho già detto è un buonissimo film che però sembrava promettere meglio di quel che poi è effettivamente stato. L’inizio è infatti strepitoso, soprattutto per me che sono andato alla proiezione stampa senza sapere neanche un briciolo sulla trama. Il problema è che un incipit così bello fa sembrare il resto del film quasi deludente, quando in realtà non lo è: il punto è che non ci si presenta a cena con un’eccellente bottiglia di vino per poi farla soltanto annusare. Buon film, comunque.

Night Tide (1961): Curtis Harrington è un regista e sceneggiatore statunitense che ha fatto una carriera onesta, senza particolari clamori. In questo suo film d’esordio, nel quale lancia Dennis Hopper nel suo primo ruolo da protagonista, racconta la storia di un marinaio innamorato di una ragazza che si crede una sirena. Gli ex spasimanti della donna sono tutti annegati in circostanze misteriose e forse frequentarla non è proprio un’idea geniale, solo che è talmente bella… Il film ha delle atmosfere splendide, le giostre sul molo di Santa Monica e il Jazz club sono due ambientazioni perfette per una storia così piena di mistero e fascinazione, tuttavia dà l’impressione di esser stato realizzato da un regista un po’ troppo acerbo e che forse, in mani più esperte, avrebbe potuto davvero essere un grandissimo film. Una curiosità: Harrington fu avvicinato dal gangster Mickey Cohen, che voleva finanziare il film, ma declinò gentilmente l’offerta perché temeva di ritrovarsi, in caso di flop, “con un blocco di cemento sul fondo del L.A. River”. Se vi incuriosisce lo trovate su Mubi.

Bardo (2022): Il mio amore per Inarritu è abbastanza noto e, anche per questo, ho solo splendide parole per il suo ultimo film, che arriverà su Netflix a dicembre. La storia, decisamente autobiografica, si dipana tra realtà e finzione, sogno e veglia (Fellini blink blink), fallimento e successo, vita e morte: è in questi equilibri che balla per quasi 3 ore la sindrome da impostore del regista. Non sempre riesce a viaggiare ad alti livelli, ma diamine se è bello il modo in cui ci prova! Ad ogni modo trovate un discorso più approfondito nella mia recensione. Non è un film facilissimo, ma a mio modesto parere, è imperdibile.

Esterno Notte (2022): Opera monumentale di Marco Bellocchio che, quasi vent’anni dopo “Buongiorno Notte”, torna ad occuparsi del Caso Moro. Quella del Presidente della DC è una storia che ho sempre sentito molto vicina, anche geograficamente: sono cresciuto e ho vissuto per trent’anni a pochi metri dall’incrocio di via Fani, dove è stato rapito e dove sono stati uccisi gli uomini della sua scorta (nonostante io sia nato 3 anni e mezzo dopo quel fatidico 16 marzo 1978), inoltre Eleonora Moro la conoscevo molto bene, visto che era una cara amica dei miei nonni e svolgeva il ruolo di catechista nella parrocchia dove ogni santo pomeriggio, per circa 10 anni, andavo a giocare a pallone. Ho davvero un bel ricordo di lei. Tutta questa premessa per far capire quanto mi sento coinvolto dalla vicenda. L’opera di Bellocchio, uscita in sala divisa in due film fiume e questa settimana su RaiPlay in 6 episodi (ognuno incentrato su un punto di vista diverso), è soprattutto un atto d’accusa alla DC, ad Andreotti più di tutti, ma che non lascia scampo neanche a Cossiga (che sorpresa Fausto Russo Alesi, già bravissimo anche ne “Il traditore” nei panni del giudice Falcone) o a Papa Paolo VI, che in quel celebre e controverso “liberate Moro, senza condizioni” dimostrò il fallimento del Vaticano (anche qui dopo un incontro tra il Papa e Andreotti). Scrittura splendida, interpreti in stato di grazia, scene suggestive (la metafora potentissima di Moro che porta la croce durante la via crucis, oppure la sequenza ucronica con il politico in ospedale che, dopo la sua liberazione, può finalmente affrontare Andreotti e Cossiga): un’opera straordinaria.

SERIE TV: Come ripeto spesso, non sono un grande divoratore di serie tv, sia perché amo troppo guardare film piuttosto che fossilizzarmi su una serie, sia perché un buon 90% di queste sarebbero potute tranquillamente essere un bellissimo film di due ore, mentre invece dobbiamo sorbirci continuamente gli stratagemmi usati in fase di scrittura per allungare il brodo e far contenti algoritmi, piattaforme e altre diavolerie simili, visto che ormai si è capito che si fanno più soldi con una serie invece che con un film. Il mio tempo, come quello di tutti, è prezioso, e perché mai dovrei sorbirmi puntate di un’ora con 80 flashback sull’infanzia di questo o quel protagonista? Parlo in generale, non di una serie in particolare, anche perché ormai sono quasi tutte così. Come ci ha spiegato bene l’ultima stagione di Boris, non sarebbe meglio un “o dimo” rispetto a mille scene inutili? La poetica dell’o dimo ha fatto la fortuna di centinaia di film, perché le serie devono invece farci vedere proprio tutto tutto?

Dopo questa mirabolante invettiva su come il mio tempo sia prezioso, vado subito a contraddirmi e a vincere il premio Coerenza 2022 raccontandovi l’ultima stagione di Manifest, una serie così brutta che non posso fare a meno di guardarla: è un po’ il mio guilty pleasure, che ci posso fare. In realtà questa quarta stagione, appena uscita su Netflix, è migliore rispetto alla precedente, leggermente più poliziesca e meno assurda, nonostante di assurdità ce ne siano come sempre a secchiate, oltre ad un protagonista talmente antipatico da farti venire voglia di tifare per i suoi “nemici” (che però non brillano neanche loro per simpatia). Eppure l’episodio pilota era stato davvero stupendo, che poi è il motivo per cui ho creduto fosse una buona idea continuare a guardare questa serie: atterrati dopo un volo turbolento di poche ore, i passeggeri e l’equipaggio di un aereo scoprono che, in realtà, sono passati cinque anni dal decollo e che nel frattempo sono tutti stati considerati dispersi. Alle prese con una vita che è andata avanti per anni senza di loro, sono come pesci fuor d’acqua. Un’idea di base che poteva essere sviluppata in maniera meravigliosa, ma che invece scade nella fantascienza più becera con retrogusto di fanatismo religioso. Ad ogni modo continuerò a guardarla imperterrito, perché ormai devo assolutamente sapere quanto riusciranno a rendere brutto anche il finale. Per riprendermi da una cosa fatta così male ho finalmente ripreso il mio viaggo con I Soprano, che al contrario è una serie scritta talmente bene che ti piacerebbe quasi di più leggerla in un romanzo che guardarla in tv (ma poi, a parte il fatto che non esiste una versione letteraria, mi perderei tutte quelle esilaranti espressioni in italiano declamate con accento del New Jersey). Ad ogni modo, sono alla quarta stagione, comincio ad intravedere una luce in fondo al tunnel (in totale sono 6 stagioni).

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Fritz Gemini ha detto:

    La doppia vita di Veronica è un capolavoro, uno dei film miei preferiti, di una spanna superiore alla trilogia della bandiera e a molti episodi del decalogo. Una perla.

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  2. Celia ha detto:

    I Soprano ci ho provato a vederla, ma ho interrotto quasi subito. Forse sono arrivata troppo in ritardo, ma l’ho trovata noiosa!
    Manifest, in modo ovviamente del tutto diverso, mi ha deluso già all’inizio della prima serie (infatti nemmeno sapevo ne fossero state prodotte altre): ci contavo molto, e invece, banale e piatta. Ma come giustamente noti, ognuno ha i propri guilty pleasures.

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