
A proposito di film invisibili, sono riuscito finalmente a recuperare una pellicola che mi stava particolarmente a cuore: l’esordio cinematografico di Andrew Bujalski nonché il film che ha aperto le porte al genere mumblecore (a suo modo già introdotto dieci anni prima dal primo Linklater di “Slacker”). Proprio Bujalski ha coniato il termine “mumblecore” durante un’intervista per Indiewire e il suo “Funny Ha Ha” racchiude esattamente tutte le caratteristiche tipiche di questo sotto-genere del cinema indipendente: ambientazioni (dalla scenografia alla fotografia) reali e non ricostruite in studio, attori non professionisti o quasi, personaggi tra i 20 e i 30 anni, temi riguardanti le relazioni sociali dei protagonisti, le insicurezze e le difficoltà della generazione post-universitaria e soprattutto un uso quasi smodato della parola, del dialogo, praticamente onnipresente.
Marnie è una ragazza di Boston che ha poco finito l’università ed è alla ricerca di qualche lavoretto per tirare avanti. Ha una cotta per un suo caro amico, Alex, che però è già impegnato in un’altra relazione. Intorno a queste due storie ruotano gli eventi del film, che seguono Marnie praticamente in ogni scena, tra festicciole, lavori temporanei e una serie di personaggi che gravitano all’interno della sua vita.
La trama è piuttosto ridotta all’osso, ma ciò che affascina in maniera pressoché irresistibile è la sensazione di un cinema realizzato con pochi dollari e un gruppo di amici, che sa raccontare in maniera sincera e onesta i turbamenti di una generazione, rendendo la macchina da presa invisibile, sia nei momenti di intimità che in quelli più confusionari. E a noi sembra proprio di essere lì, tra le strade di Allston, con i personaggi del film e tutte le loro imperfezioni, così reali da sentirle anche nostre.
