
Quello di Darius Marder è uno dei debutti più convincenti degli ultimi anni. Il regista, già collaboratore di Derek Cianfrance (qui in vesti di produttore), ci immerge completamente nel nuovo mondo di un batterista metal che, improvvisamente, perde l’udito, rendendo assordanti i silenzi che lo circondano e così vivida la sua frustrazione da farcela sentire addosso in ogni istante. Dalle rovine della vita del suo magnifico protagonista, Marder ci permette di raccoglierne i cocci e, insieme a lui, di provare a rimontare il suo futuro. Il lavoro sul suono è assolutamente al centro del progetto: l’apertura, durante un concerto in cui Ruben, il batterista, dà tutto se stesso, è talmente rumorosa da dover pescare il telecomando tra le pieghe del plaid per abbassare il volume per non dar noie ai vicini (e al nostro udito). Poi, così come Ruben, lentamente, inevitabilmente, sopraggiunge prima un ronzio, poi un suono ovattato e dunque il silenzio, che accompagna gran parte del film.
Tutto ciò accade mentre Ruben è in tour con il suo amore Lou, cantante del duo metal con cui il batterista vive e viaggia su un camper in giro per gli Stati Uniti. Mentre lui non si rassegna alla sua sordità, insistendo per mandare avanti il tour, la ragazza invece è sconvolta dalla situazione. L’unica soluzione è far accettare all’esuberante Ruben la sua nuova realtà permettendogli di entrare in una comunità di non udenti, per fare in modo che impari a vivere da sordo in un mondo di silenzio. Per rendere tutto ciò possibile, i due innamorati dovranno temporaneamente separarsi. Qui sembra che il film, così come la vita del ragazzo, possa avere un nuovo inizio, ma il conflitto interiore di Ruben prosegue per tutta la sezione centrale, tra l’accettazione di ciò che è e il desiderio di far tornare la sua vita sui binari del passato.
Riz Ahmed, star emergente del cinema statunitense (lo abbiamo apprezzato in “Rogue One” ma soprattutto ne “I fratelli Sisters”) è assolutamente convincente in ogni fase della storia di Ruben, sia quando è un toro scatenato alla batteria, sia quando è disorientato dalla mancanza di punti di riferimento sonori, fino al poetico e splendido finale. A tutto questo va aggiunto il piacere di ritrovare sullo schermo un attore stupendo come Mathieu Amalric. “Sound of Metal” è una delle belle sorprese di questo 2020, ed è commovente nel suggerirci come il ritmo della vita, nonostante la musica si fermi, possa trovare la strada per nuove melodie.

Da metallara e debole d’udito non posso che esserne attirata.
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Non te lo perdere (è su Prime Video) 🙂
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Non ho piattaforme streaming, ma sicuramente in futuro lo recupererò.
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Caspita, pensavo fosse una stupidaggine. Da amante del metal, mi tocca vederlo!
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Grandissimo film secondo me, anche se a proposito metal, a parte l’inizio, non si vede praticamente nulla 🙂
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