Capitolo 373: La primavera intanto tarda ad arrivare

Un mese si appresta a lasciarci, un altro bussa alla porta. Marzo sta per finire e, come ormai da tradizione, mi sembra doveroso aggiornare le statistiche sui film visti, grazie alla preziosa collaborazione di Letterboxd. Al momento di scrivere, con ancora cinque sere a disposizione, ho visto durante marzo la bellezza di 18 film: un calo rispetto alla media dei due mesi precedenti, ma la conferma che questo primo trimestre del 2024 è quello in cui ho visto più film in rapporto allo stesso periodo degli ultimi 10 anni. Lo so, dovrei dirlo con un po’ meno di orgoglio e, soprattutto, uscire di più. Ma cosa c’è di tanto emozionante che vale più di una serata davanti a un film in bianco e nero del 1947 o il recupero di un’opera candidata agli Oscar? Ditemi, sono tutt’orecchi.

La Notte dei Morti Viventi (1968): Erano due decenni buoni che non mi capitava di rivedere l’opera prima di George A. Romero e la sua bellezza è ancora intatta, perfetta nella sua semplicità: un gruppo di persone, intrappolato in una casa colonica circondata da morti viventi, cerca di capire cosa fare per sopravvivere. Il regista, che ai tempi aveva messo in piedi una piccola casa di produzione insieme a due soci, inizialmente voleva semplicemente girare un film: il fatto che l’horror andasse così di moda in quel periodo portò i tre a decidere di impegnarsi in un film di quel genere, costato solo 114mila dollari (da un budget iniziale di circa 14mila!) ma capace di incassare addirittura 18 milioni in tutto il mondo. La produzione era talmente improvvisata da dover utilizzare uno dei finanziatori, Karl Hardman, in uno dei ruoli principali, quello di Harry Cooper (tra l’altro Hardman si occupò anche del make up del film, oggi sarebbe impensabile!). Tra le comparse furono invece scelti abitanti del luogo, felici di poter partecipare a un film horror. Un’opera indipendente, nel senso più assoluto del termine, divenuta un cult assoluto del cinema statunitense, oltre ad essere un’enorme metafora su razzismo, ingiustizia sociale e sugli uomini che preferisco farsi la guerra tra loro, piuttosto che concentrarsi a risolvere un enorme problema comune. Homo homini lupus, tanto per cambiare. Film di enorme valore, nella sua rozzezza produttiva: lo trovate su Mubi (clicca qui per provare Mubi gratis per 30 giorni!).
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La Zona d’Interesse (2023): Un breve accenno per dire che ho rivisto il film di Glazer a distanza di cinque mesi e, alla seconda visione dopo quella alla Festa del Cinema di Roma, la sua potenza è forse ancora più dirompente. Uno di quei film che segnano un’epoca e che rappresenteranno un capitolo evolutivo nella storia del cinema, con il suono utilizzato come arma per far leva sul nostro immaginario. Straordinario (per approfondire il discorso, trovate qui la recensione completa).
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Quinto Potere (1976): Sidney Lumet ha mai sbagliato un film? Probabilmente no. Quattro Oscar ottenuti (su un totale di dieci nomination), tra cui quello a Faye Dunaway, Peter Finch (che morì due mesi prima della cerimonia, vincendo il premio postumo, come accadde a Heath Ledger una trentina d’anni dopo), Beatrice Straight (attrice non protagonista, record ancora imbattuto di presenza minima sullo schermo ad aver vinto un Oscar, soltanto 5 minuti e 2 secondi!) e lo sceneggiatore Paddy Chayefsky. Un giorno il conduttore di telegiornale Peter Finch viene a sapere che la rete, a causa del calo degli ascolti, vuole sostituirlo con un altro conduttore. L’uomo allora annuncia che nei giorni seguenti si toglierà la vita durante il notiziario della sera, facendo registrare un nuovo picco di audience. Nelle dirette successive Finch comincerà una serie di sproloqui, diventando il protagonista della tv statunitense (immensa la scena in cui gli ascoltatori, incitati dal conduttore, si affacciano da finestre e balconi per urlare all’unisono: “Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!”). Satira graffiante e commedia di grande spessore, forse eccessivamente appesantita da una consistente quantità di scene madri, ma avercene di film così ben scritti. Lo trovate su Prime Video.
•••½

Scuola di Polizia (1984): Quando ero piccolo, vedevo questo film di Hugh Wilson e andavo a dormire sentendomi un ragazzino migliore, perché pensavo che un giorno sarei diventato come Mahoney. Cary Mahoney infatti, il personaggio interpretato da Steve Guttenberg era il tipo di uomo che volevo diventare: simpatico, divertente, con la battuta sempre pronta, un punto di riferimento per gli amici, oltre ad essere uno in grado di rimorchiare Kim Cattrall, sogno “romantico” di qualunque ragazzino degli anni 80 (soprattutto a causa di Grosso Guaio a Chinatown)… La storia, come suggerisce il titolo, è incentrata su un’accademia di polizia e sull’addestramento di una nuova squadra di futuri agenti di polizia. La classe di reclute, inevitabilmente, sarà composta da personaggi decisamente bizzarri, che ben presto si ritroveranno alle prese con una città in rivolta. Politicamente scorretto, a tratti volgare, ma ammetto di aver riso ancora moltissimo. In fin dei conti, rivisto oggi, Mahoney non era proprio il modello giusto al quale ispirarsi, ma posso capire perché gli ho voluto così bene.
•••½

Beau Travail (1999): Dalla scuola di polizia alla legione straniera il passo è breve. Al settimo posto nella classifica decennale stilata da Sight & Sound sui 250 migliori film della storia del cinema, il film di Claire Denis, ispirato a un romanzo postumo di Melville, mette in scena i ricordi di un ex sergente dell’esercito francese, ai tempi di stanza nel Gibuti, e degli avvenimenti che portarono al suo allontanamento. Le scene sembrano un po’ slegate le une dalle altre e ho trovato la visione un po’ faticosa, ma il quadro d’insieme è davvero bellissimo. In particolar modo lo splendido finale mi ha portato a questa riflessione: se hai Denis Lavant in un film, a un certo punto lo devi assolutamente far ballare (se poi balla Corona in The Ryhtm of the Night, capisci che non può esserci scena migliore in tutto il film).
•••½

La Sala Professori (2023): Capace di soffiare la nomination agli Oscar come miglior film straniero a un’opera del calibro di Foglie al Vento di Kaurismaki, il film di İlker Çatak scende in campo con aspettative forse troppo alte. In una scuola tedesca, un’insegnante decide di indagare da sola per scoprire chi c’è dietro ai numerosi furti che avvengono nell’istituto da un po’ di tempo a questa parte. Scoperta una possibile colpevole, quello della professoressa sarà un lungo viaggio nell’inferno delle brutture scolastiche, tra insegnanti inetti e una classe dirigente che fa acqua. La colonna sonora ansiogena funziona, così come la perfetta interpretazione di Leonie Benesch: il film trascina, trascina, trascina, in attesa di un climax che però non c’è. Sembra come quando gonfi un palloncino, lo vedi che cresce, che prende forma, che sta per raggiungere il suo apice, ma poi ti sfugge di mano e vola per la stanza, sgonfiandosi. Peccato.
•••

Il Fantasma e la Signora Muir (1947): Dramma amoroso firmato dal futuro vincitore di 4 premi Oscar Joseph L. Mankiewicz (fratello minore del celebre Mank raccontato da David Fincher nel film omonimo). Per l’epoca una storia innovativa, originale, con una splendida vedova (Gene Tierney, bella da perderci la testa) che decide di trasferirsi con la figlioletta (Natalie Wood, futura star, tra i tanti, di Gioventù Bruciata e Sentieri Selvaggi) in una bellissima villa affacciata sull’Oceano. Nella casa però aleggia la presenza del precedente proprietario, un marinaio morto in circostanze non del tutto chiare, il cui fantasma cerca di allontanare la donna dalla casa (come aveva già fatto con i precedenti possibili affittuari). La vedova però non si lascia intimorire, ma anzi entra nelle grazie del fantasma, diventando sua amica e confidente. Il resto è piuttosto lineare e il finale, per uno spettatore del 2024, abbastanza prevedibile, ma per il pubblico del 1947 deve essere veramente stato un film magnifico.
•••½

Civil War (2024): Come ho già scritto nella recensione, il nuovo film di Alex Garland, al contrario del sopracitato La Zona d’Interesse, mette in mostra tutta la violenza e l’orrore possibile di un contesto bellico, con l’interessante trovata di ambientare la vicenda durante una distopica guerra civile tra la Casa Bianca e gran parte del popolo statunitense, il tutto osservato con gli occhi dei fotoreporter. Il film più costoso mai prodotto dalla A24 è realistico all’inverosimile, ma quel che peggio è credibile in ogni sequenza, riuscendo soprattutto a cogliere, in maniera evidentemente pessimista, il senso di divisione e la crudeltà che l’Occidente sta affrontando negli ultimi anni (in particolare gli Stati Uniti, con l’eventualità neanche troppo assurda di un ritorno alla presidenza di Donald Trump). Un gran bel film, con un cameo di Jesse Plemons che rischia di non farvi dormire la notte.
•••½


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Comments

3 risposte a “Capitolo 373: La primavera intanto tarda ad arrivare”

  1. Avatar Sam Simon

    Romero! Solo amore per Romero!

    E c’è Kim Cattrall in Scuola di polizia? Lo devo rivedere! :–)

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    1. Avatar AlessioT

      C’è ed è splendida! 😍

      Piace a 1 persona

      1. Avatar Sam Simon

        Chiaro! Per quello mi hai messo voglia di vedere il film… X–D

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