“I Soprano”: c’era una volta in New Jersey


In qualunque lista degli show televisivi più importanti e influenti della storia del piccolo schermo è pressoché impossibile non trovare I Soprano, serie tv partorita dalla mente di David Chase, creatore e showrunner, nonché principale autore del tanto dibattuto finale, uno dei più geniali e chiacchierati di sempre (ne parleremo dopo). Sono tanti i motivi che hanno reso questa serie un capostipite nella storia della televisione: è senza dubbio la prima (dopo Twin Peaks di David Lynch, che tuttavia rappresenta un caso a parte), a sfidare le convenzioni della tv tradizionale e a mostrare una complessità e una profondità che ai tempi sembrava appannaggio solo del cinema d’autore. Inoltre la serie di Chase ha completamente rivoluzionato il genere gangster, mostrando le sfumature psicologiche di personaggi prima di allora spesso stereotipati e incastrati all’interno di un genere cinematografico che, anche a causa della durata limitata del prodotto filmico, non ha mai permesso un’analisi psicologica profonda come quella che caratterizza i moltissimi personaggi de I Soprano (e anzi giocando anche con quelli stessi stereotipi, come quando Christopher, incontrando per caso Martin Scorsese, gli urla che Kundun è il suo film preferito!). Ovviamente il debito con Scorsese e soprattutto con Goodfellas è enorme, visto che l’intero lavoro di Chase si ispira ai vari problemi di vita quotidiana della mafia raccontati splendidamente nel film del 1990, dal quale la serie ha attinto a piene mani anche in fase di casting.

Il New York Times ha definito I Soprano come “La più grande opera della cultura pop americana dell’ultimo quarto di secolo”. L’opera di David Chase è riuscita infatti a insinuarsi nell’immaginario collettivo, influenzando la cultura popolare statunitense nei modi più impensabili. E se questa apologia nei confronti di Tony Soprano e compagnia può sembrare stucchevole, è perché è difficile usare parole che non siano di entusiasmo e che possono sgorgare solo dopo avere un quadro completo delle sei stagioni: la trama è infatti complessa, si dipana talvolta con lentezza e si prende il suo tempo per approfondire la psiche dei moltissimi protagonisti che gravitano intorno al fulcro della serie, Tony, unico a comparire in ogni singolo episodio e anche l’unico a mostrarci, tramite lo stratagemma delle sedute con la dottoressa Melfi (il nostro collegamento con il mondo “reale”), ogni suo pensiero, ogni sua fragilità, ogni suo trauma. David Chase ha semplicemente frantumato ogni canone e ogni tabù che fino all’avvento de I Soprano persisteva nelle tv delle case di milioni di statunitensi: la violenza, il sesso, l’adulterio, la morale, l’etica e soprattutto la mortalità (quando mai prima di allora vedevamo morire i personaggi dei cosiddetti telefilm?). Parliamo infatti del 1999, anno che segna una sorta di turning point nella storia della televisione, visto che nello stesso periodo usciva anche un altro show di fondamentale importanza, per motivi completamente diversi: West Wing.

Forse la complessità di una serie come I Soprano può anche sembrare, per certi punti di vista, uno dei suoi punti deboli: talvolta è frustrante costringersi a ricordare nomi e fatti incontrati decine di episodi prima e la mole impressionante di sottotrame (oltre che di personaggi secondari) è talmente architettata da mostrare un’intera ragnatela di storie parallele che si svolgono lungo i binari del racconto principale, che l’opera comunque non perde mai di vista, neanche per un istante. Una serie capace, nell’arco di un episodio, di mostrare un omicidio in pieno stile gangster movie, una seduta psicanalitica in cui si rivangano traumi e sogni del protagonista, una litigata in famiglia che aggiunge pressione e complessità ad una trama già ricca di accadimenti più o meno importanti (oltre alla vita “professionale” del capofamiglia Tony Soprano, la serie approfondisce anche le difficoltà nella vita domestica, tra i problemi adolescenziali dei figli del boss alle più diverse problematiche relazionali con la moglie). Al fianco di questa ricchezza narrativa si aggiunge inoltre un universo di simboli e letture di diverso tipo: psicanalitico, come abbiamo già accennato, ma anche sociologico, filosofico e politico.

Un rosario di personaggi indimenticabili, dal protagonista Tony, a tantissimi altri come Silvio Dante, Christopher Moltisanti, Paul Gualtieri, Jennifer Melfi, Vito Spatafore, Furio Giunta, Corrado Soprano, Richie Aprile, Ralph Cifaretto, Adriana La Cerva, solo per citarne alcuni. Un incedere come già detto compassato, intervallato da sogni, flashback o dalle sedute del boss nello studio della sua psicologa, che porta però ad uno dei più grandi finali mai visti nella storia della televisione, di cui parleremo dopo il primo piano su Tony (neanche a dirlo, se non avete visto la serie e non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete oltre).


Se già l’ultima puntata è nel suo complesso un compendio di scrittura brillante per la tv, l’ultima scena, che segue l’emozionante confronto tra Tony e suo zio Corrado, è un vero e proprio capolavoro di montaggio, regia e sceneggiatura. Tony entra in un ristorante per cenare con la sua famiglia e, nel momento in cui entra nel locale, il suo punto di vista diventa immediatamente quello dello spettatore, che vede lo stesso Tony già seduto a un tavolo (quasi dando l’impressione di indossare anche vestiti differenti). Lo spaesamento di chi guarda è già in atto, perché da qui in poi non sarà questo l’unico momento che giocherà con le nostre sensazioni ma anche con il nostro immaginario: Tony è al tavolo e sceglie una canzone dal juke box (Don’t Stop Believin‘ dei Journey). La musica parte con l’arrivo al ristorante di sua moglie Carmela: Just a small town girl, Livin’ in a lonely world, She took the midnight train going anywhere. Quindi l’inquadratura torna su Tony e lo stacco coincide con un altro verso della canzone: Just a city boy, Born and raised in South Detroit, He took the midnight train going anywhere. Poco dopo al ristorante si presenta il figlio maschio, AJ, preceduto dall’ingresso di un uomo misterioso che nei titoli di coda troviamo indicato come “Man in Members Only Jacket” (un evidente richiamo al primo episodio della stagione, Members Only, in cui Tony viene accidentalmente colpito da una pallottola sparata da suo zio). Le inquadrature si alternano tra il volto di Tony, gli avventori del locale e i tentativi di parcheggio della figlia Meadow, all’esterno del ristorante. La tensione è palpabile, mentre in sottofondo AJ dice qualcosa sul ricordo dei momenti belli, in questo momento la paranoia di Tony diventa la nostra, allarmati da ogni ingresso al ristorante, segnato dal suono di un campanello che trilla appena qualcuno apre la porta. L’uomo misterioso si alza dal bancone per andare in bagno, di fianco a Tony, ed è proprio nel momento in cui finalmente arriva Meadow che il campanello sulla porta suona per un’ultima volta, facendo concludere la serie su uno schermo nero improvviso, subito dopo averci mostrato il primo piano di Tony, quasi spaventato dall’ennesimo suono di quel campanello. Lo schermo resta nero per diversi secondi, prima di calare il sipario sull’ultima stagione e lasciando spazio ai titoli di coda.

Il finale, discusso all’inverosimile, lascia aperta qualunque speculazione sul destino del capofamiglia del New Jersey, dai tanti indizi su una sua imminente uccisione (l’uomo che va in bagno, non solo richiama al colpo di pistola di inizio stagione, ma fa pensare immediatamente alla famosissima scena analoga vista ne Il Padrino, che in precedenza era stata anche citata come la scena preferita di Tony) ad un suo inevitabile arresto, visto che uno dei suoi uomini, spaventato dalla scia omicida ordinata dal nuovo boss di New York, si era appena affidato alla protezione dell’FBI. Un altro indizio che associa questo finale ad una possibile morte lo troviamo anche nel tredicesimo episodio di questa stessa stagione, quando Tony, incalzato da suo cognato Bobby, afferma che secondo lui la morte sarà come un buio improvviso, che è esattamente quello che cala sul volto del protagonista e sulla serie nell’ultima clamorosa scena. C’è chi addirittura vede questo finale come l’ennesimo sogno di Tony, visto che lo show ha disseminato spesso e volentieri scenari onirici, alcuni dei quali si svolgevano proprio in un ristorante (con Maria Grazia Cucinotta, tra l’altro!).

Al di là di ogni possibile e strampalata teoria, il finale de I Soprano non fa altro che confermare la straordinaria unicità di un prodotto d’autore che è stato in grado di raccontare gli Stati Uniti come pochi altri nella storia della televisione. Un’opera ancora oggi, ad oltre quindici anni dalla sua conclusione, capace di trasmettere pienamente la sua impressionante mole di sfumature, che ha contribuito a rendere questa serie una pietra miliare per quanto riguarda il piccolo schermo. I Soprano in qualche modo, raccontandoci la storia di un destino quasi ineluttabile, ci costringe inevitabilmente a guardare al nostro passato per comprendere meglio il nostro presente e, perché no, costruire il nostro futuro, fatto di scelte che portano a conseguenze, di azioni che possono rivelarsi fondamentali nell’economia delle nostre vite. Saranno anche passati 16 anni dalla conclusione dello show, ma il New Jersey non ci è mai sembrato così vicino.

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Big Zee ha detto:

    Ciao Alessio, complimenti per il tuo blog, è sempre interessante leggere le tue opinioni e gusti cinematografici! La serie l’hai vista in lingua originale o doppiata?

    Piace a 1 persona

    1. AlessioT ha detto:

      Grazie mille per i complimenti!
      La serie tutta in lingua, rigorosamente, ho il cofanetto in dvd

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