Capitolo 345

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Come ogni gennaio che si rispetti, l’anno nuovo è cominciato con una scorpacciata di proiezioni stampa, per l’ultima infornata di filmoni (o presunti tali) reduci dai festival dello scorso anno. Ci sono talmente tanti film di cui parlare in questo capitolo, che penso sia il caso di abbreviare l’introduzione per lasciare subito spazio a tutto ciò che ho visto nelle ultime due settimane. Praticamente non ho più una vita: questa passione sta diventando (…) decisamente invadente.

Jerry Maguire (1996): Il film che, da ragazzino, mi fece innamorare del cinema di Cameron Crowe. Come sapete si tratta della storia di un importante procuratore sportivo che, in preda a crisi di coscienza, decide di scrivere e inviare a tutti i colleghi della sua agenzia una “relazione programmatica” in cui ammette l’immoralità del loro lavoro e si propone di dedicarsi a meno clienti (quindi guadagnare meno soldi), ma con più attenzione. Viene licenziato in tronco e ricomincia la sua attività da solo, con un solo pazzo cliente e un’assistente devota ma in una situazione famigliare delicata. Romantico, ma non troppo, divertente, appassionato: ormai è un film di culto, come lo sono almeno un paio di frasi, dal “coprimi di soldi” urlato al telefono a Cuba Gooding Jr per assicurarsi la sua procura, al mitico “mi avevi già convinta al ciao” di Renee Zellweger. Cinque nomination agli Oscar (compresa quella per il Miglior Film, cosa non facile in un’epoca piena di filmoni), colonna sonora ovviamente notevole e tanto quan. Ritrovato su Netflix.

Gli Spiriti dell’Isola (2022): Ho già parlato ampiamente di questo film nella recensione (che trovate qui), quindi non mi soffermerò troppo. Solo per dire che ormai ogni film di Martin McDonagh è una perla rara in un universo cinematografico pieno di mancanza di idee e storie poco originali. Il regista britannico, dopo i geniali In Bruges e Tre Manifesti a Ebbing Missouri, trova il terzo film meraviglioso della sua carriera, raccontando la storia di due migliori amici, tra i pochi abitanti di un isolotto irlandese negli anni 20, che da un giorno all’altro smettono di andare d’accordo, per volontà del più anziano dei due. Ne scaturirà un’escalation di ripicche, rappresaglie e quant’altro. Siamo solo a gennaio e già posso dire che si tratta di uno dei film dell’anno (nove candidature agli Oscar, il mio tifo sarà tutto per loro).

Babylon (2022): Anche di questo film di Damien Chazelle ho già detto abbastanza qui, dunque non aggiungerò molto altro. Film che naufraga nel fiume dei suoi 188 minuti, nonostante una partenza sicuramente interessante e appassionata. Mille finali, se nel magnifico La La Land ti innamoravi letteralmente dei due protagonisti e facevi un tifo incondizionato per loro, stavolta la coppia spaiata di questa storia è totalmente respingente, non hai minimamente a cuore il loro destino e anzi, speri solo che finiscano presto di raccontartelo. Chazelle cerca disperatamente di dare colpi di gomito allo spettatore per far sì che non si perda il concetto al quale sembra tenere più di ogni altro: il cinema non muore mai. Il problema è che, nel frattempo, mentre il regista si aggrappa con tutte le forze al cuore delle sue idee, siamo già morti noi. Di noia.

Under the Silver Lake (2018): David Robert Mitchell ha fatto tre film e sono uno più bello dell’altro. Di The Myth of American Sleepover vi ho parlato di recente e forse avete letto quanto lo abbia amato (è su Mubi!). It Follows invece l’ho visto al cinema nel lontano 2016 e l’avevo trovato davvero splendido. Under the Silver Lake è molto diverso dai due precedenti, lo avevo già visto anni fa ma lo ricordavo davvero poco: Andrew Garfield si invaghisce di una ragazza, ma questa sparisce nel nulla da un giorno all’altro. Decide così di lanciarsi alla ricerca, levando il velo su un mondo di cui non sospettava minimamente l’esistenza. Il film omaggia a piene mani Hitchcock e Lynch (e non solo), mescolandoli alla letteratura paranoica di Pynchon: talvolta sembra perdersi nei suoi arzigogoli, ma ha una potenza visiva e un’attrazione difficilmente eguagliabili (e la scena nella casa del compositore è un cult assoluto). Più assurdo che bello, tuttavia mi è piaciuto moltissimo. Anche questo lo trovate su Mubi.

Estate 1993 (2017): Film d’esordio di Carla Simon, bravissima regista dell’Orso d’Oro Alcarras, che da quest’opera precedente ha ripreso sia il respiro autobiografico che l’ambientazione nella campagna catalana. Una bambina resta improvvisamente orfana, così i suoi zii la prelevano dall’appartamento di Barcellona dove stava crescendo per portarla a vivere in campagna con loro e con la cuginetta più piccola. Per la nostra protagonista adattarsi a un contesto così diverso e affrontare un cambiamento così repentino è tuttavia complicato, così come sarà difficile anche per i suoi nuovi tutori abituarsi alla sua rabbia repressa e al suo bisogno di attenzioni. Sguardo documentaristico, sentimenti palpabili, finale che vorresti abbracciare. Bellissimo film (lo devo dire? Sì, anche questo è su Mubi).

La Jetée (1962): Da molto tempo ho sentito parlare di questo film di Chris Marker ed ero davvero molto curioso di scoprirlo. Praticamente un fotoromanzo di 30 minuti, con una serie di immagini ferme e una voce fuori campo che racconta le vicende: gli uomini vivono sottoterra in seguito ad una guerra nucleare. Uno, ossessionato dall’immagine di una donna che aveva visto da bambino, viene usato come cavia per essere mandato indietro nel tempo e trovare il modo per evitare il disastro. Nei suoi viaggi ritroverà la donna dei suoi sogni (letteralmente). Per anni ho amato L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam senza sapere che era praticamente un enorme omaggio a questo film pazzesco, strabiliante sia per il linguaggio cinematografico che per l’incredibile racconto di fantascienza (ricordo, è stato girato nel 1962!). Potrebbero essere tra i migliori 30 minuti spesi in vita vostra (e dove dovreste spenderli se non su Mubi?).

Febbre a 90 (1997): Come faccio a parlare razionalmente di questo film di David Evans? L’ho visto da ragazzino, me ne sono innamorato, l’ho rivisto decine di volte, a un certo punto mi ero messo a riscrivere su un quaderno tutta la sceneggiatura (il motivo per cui so praticamente tutte le battute a memoria). Il libro di Nick Hornby, che ve lo dico a fare, l’ho letto e riletto fino a consumarlo. So che ci sono commedie romantiche molto migliori e so anche che, senza dubbio, ci sono film sportivi migliori, ma io sono innamorato di questo e volete mettervi a discutere l’amore? Per chi non lo avesse visto è la storia più o meno autobiografica di Hornby, qui rappresentato da un giovane Colin Firth, professore di letteratura e tifosissimo dell’Arsenal, alle prese con una relazione con una collega nella stagione (e non anno) in cui la squadra londinese è arrivata a giocarsi all’ultima giornata la vittoria del campionato dopo 18 anni senza trionfi. Stavolta mi sono trovato a vederlo dopo 10 anni in una serata in cui ero solo a casa, con una pizza davanti e (credo) per la prima volta in lingua originale, che me l’ha fatto sembrare un altro film. Già penso a quando lo vedrò di nuovo: noi non supereremo mai questa fase.

Religiolus (2008): Documentario totalmente irriverente diretto e condotto dal comico Bill Maher. Ricordo di averlo visto al cinema, ai tempi, e di aver sognato di farlo proiettare nelle scuole. Praticamente Maher gira il mondo, dagli Stati Uniti a Israele, passando ovviamente per Roma, oltre che per Amsterdam, mettendo credenti di ogni religione di fronte alle incongruenze dei loro testi sacri e contestando, con un ragionevole dubbio, ogni loro certezza. Forse è troppo irrispettoso e in alcuni casi sfacciato, ma di fronte ai predicatori televisivi che guadagnano milioni millantando di essere i discendenti di Cristo, l’irriverenza e il sarcasmo sono un’arma fin troppo morbida. Se siete credenti potrebbe risultare anche fastidioso, vi avviso, ma per un ateo o un agnostico è invece un vero e proprio spasso. Lo trovate su Prime Video.

Decision to Leave (2022): Anche qui, come per un paio di film precedenti, ho già scritto tutto quello che avevo da dire nella recensione completa. Si tratta del nuovo film di Park Chan-wook (di cui vi consiglio, oltre al famosissimo Old Boy, il meno conosciuto ma altrettanto straordinario Thirst, per non parlare di tutti gli altri). Premio per la regia a Cannes, si tratta di un thriller sentimentale, se così si può dire, con un detective che indaga sulla morte di un uomo, precipitato da una parete di montagna. Ovviamente parla con la moglie del morto, un’affascinante donna cinese, di cui sospetta ma di cui si prende anche una cotta. Può sembrare una trama poco originale ma vi assicuro che il film invece lo è assolutamente: un universo di non detti e piccoli dettagli che vanno oltre ogni parola, ogni racconto lineare. Un dramma romantico e psicologico che quasi fa pensare a un Basic Instinct diretto da Wong Kar-wai, con un’estetica spettacolare e, soprattutto, un finale indimenticabile.

SERIE TV: Come gran parte dell’universo conosciuto, ho cominciato anche io The Last of Us e mi ci sono appassionato senza grandi riserve. Pur non avendoci mai giocato, conosco molto bene la storia e il mito del videogioco e, convinto dalla produzione HBO (che spesso è una garanzia) e dalla presenza dello showrunner di quel capolavoro che era Chernobyl, non ho avuto alcun dubbio a cominciare anche questa nuova serie. Già dai due primi episodi appare evidente che non si tratta di un fuoco di paglia, anzi: la qualità della messa in scena, la caratterizzazione dei personaggi e il livello di coinvolgimento (quell’incipit in Texas vale da solo il 90% delle serie che ci sono in giro) ci fanno già capire che sarà una delle cose più interessanti che vedremo quest’anno. Tutto questo, mentre Dave Gahan illumina la notte sulle note di “Never Let Me Down Again”: I’m taking a ride with my best friend, I hope he never lets me down again, he knows where he’s taking me, taking me where I want to be.

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